La flotta napoletana dei J-24

  • News

Fra il 1981 ed il 1982, piomba a Napoli la flotta dei J 24. Classe monotipo, relativamente economica per una barca a vela, ed adatta sia ai velisti più maturi che ai derivisti.

Ambasciatore della flotta italiana Paolo Boido, torinese con indole napoletana, che acquisì la licenza di costruzione dal progettista Johnstone Sr., di qui il nome “J” alle classi figlie di quella matita. “Console” a Napoli, davvero un indimenticabile consocio, gentleman e folletto alo stesso tempo, dirigente dell’ex IRI e responsabile dei relativi mercati esteri: Marino Barendson. Da sempre sensibile alle innovazioni provenienti da oltre oceano, per indole e vivacitá del suo DNA, presto affidò quel J a Carlo Bertorello, Walter Marino, Claudio Pensa ed altri velisti del circolo Italia. “Guapparia” il nome della barca, la prima con le vele Horizon di Marco Holm, e non poteva che essere tale.

Presto cavalcarono l’onda del J24 molti altri armatori, contagiati da quel virus per il quale non esistevano efficaci antibatterici. Una febbre virale, su cui soffiava il nostro Gennarino, che poteva avere più puledri da gestire in banchina, nel golfo, e con i quali “mastriare”.

“Vincimm’ tutt cos” una delle sue profezia, frutto non del calcolo ma del caso, in quanto suo malgrado non sbagliò la conclusione, ma solo il profeta: il super tecnico Francesco de Angelis, da sempre individualista e geloso dei propri segreti, anzichè il talentuoso con lui sinergico e “figlio prediletto”, velicamente parlando. La Pimmice, detto anche il Pimmicio, soprannomi coniati da Gennarino, e rimasti incollato vita natural durante al talento di Alberto Signorini, mio coetaneo e ben più dotato rivale dai tempi del Flying Junior e dei 420.

Gli altri armatori mecenati? Mario Perlingieri con Imp, color rosso fuoco; l’indomabile –in banchina prima che a mare- Peppe Leonetti con l’Irascibile prima, tale di nome e di fatto, e poi Pall’ e’ Cannone. Poi Sergio e Maurizio Contardi con Alcor, coadiuvati da Paolo Signorini e Giorgio Koelliker, perfino Pippo Dalla Vecchia al timone di Santa Lucia, presto passato a suo figlio Aurelio, 2 volte olimpionico. E Massimo Tucci con Jet, presente al mondiale 1988 di Sidney e campione Europeo a Kiel 1990 con Aurelio al timone. Insomma in banchina era un fiorire a primavera, con la gioia di derivisti e non.

Tante barche e solo nuove, che seppur ingombranti in banchina trovarono spazio sia all’Italia che presso gli altri circoli partenopei. Carlo Campobasso con JR al Savoia, Giorgio Pavesi con il primo della magica serie dei “Le Coq Hardì”, I-84, che in origine ragatava con i colori del CCN. E poi ancora a seguire l’aeronautica e la marina militare.

Napoli ospitò molto presto gli Europei 1984, Capri lo splendido mondiale del 1987, grazie alla dirigenza in loco di Marcello Campobasso, Pippo Dalla vecchia, in sinergia con la FIV da Genova, allora presieduta da Carlo Rolandi.

Alberto (scusate a Napoli era solo “a’pimmice”) aprì le danze vincendo l’italiano di Cala Galera nel 1983, mentre Gennarino era il tattico di Imp, timoniere Roberto Perrone Capano. Poi inizio l’era di Le Coq Hardì che letteralmente spazzolò tutto, dagli antipasti alla frutta, rafforzato dai nuovi colori rossoblù. Timoniere Francesco de Angelis ancora dilettante, Raimondo Cappa ispiratissimo alla tattica e grande back-guard in poppa. Maurizio e Gianpaolo Pavesi in pozzetto, Roberto Perrone Capano a prua ed albero, di cui Francesco ricorda ancora oggi l’occhio sulla linea di partenza, ed i salti sulla prua per facilitare le planate in poppa, le virate con rollio di bolina.

Le Coq Hardì inizio la propria parade con l’italiano e l’europeo a Napoli nel 1984, ed ancora l’italiano 1985 (ad Alassio contro i fratelli Sommariva, sicuri padroni di casa). Dulcis in fundo italiano 1987 (Napoli) e mondiale 1987 (Capri). Preceduto da un’indimenticabile trasferta/allenamento di ben due barche sociali in Giappone, grazie allo sponsor Abla Fashion, al Nissan Marina vicino Kyoto, per partecipare al mondiale 1985 vinto da Ken Read sull’inglese Merrill Lynch del professionista Owen. Esperienza unica, dallo “Shinkansen” che partiva con il capotreno dotato di cronometro fra le mani, e le frecce che indicavano il punto in cui si sarebbero aperte le porte. O della prima auto Nissan con specchietti parabolici a 360°, e campanelle limitatrici della velocità, che Aurelio 26enne faceva squillare ad ogni rettilineo. E sempre Aurelio ai fornelli dello yacht club, lesto nel cucinare una carbonara per tutti, dopo che gli venne servito un piatto di spaghetti con il rosso dell’uovo intero a centro del piatto. O di Peppe Leonetti letteralmente “ricercato” per tutto il marina, ora dai giapponesi ora dalla dolcissima moglie Anna, pazientemente al seguito degli scugnizzi, spesso nobili. E di Massimo Dotoli nelle botteghe orientali che si cimentava con l’abaco. O Walter Marino alla guida, che vi potrà raccontare dal vivo gli incontri ravvicinati con ragazze giapponesi poco abituate alla napoletanità stradale.

Tornando al mondiale di Capri 1987 di Le Coq Hardì I-211, quella vittoria lanciò quale armatori di prestigio sulle classi a bulbo monotipo i fratelli Pavesi, e Francesco de Angelis quale timoniere di livello globale, che dal 1987 avviò con Azzurra II la sua lunga e titolatissima carriera da professionista colto nella vita e sempre “hi-tech” nel lavoro, corteggiato in banchina sociale dall’Avv. Gianni Agnelli, sbarcato durante i preparativi del mondiale in banchina con il suo F100, per conoscerlo e poi ingaggiarlo per la campagna australiana.

Accesissima la rivalità con Alberto Signorini (timoniere) e con il compianto consocio ed armatore Peppe Leonetti, però sempre sconfitti, almeno sul J24, da Francesco & Co. Infiniti gli scherzi ed i trabocchetti tanto astuti quanto leali, per lo più irripetibili, gelosamente custoditi nel raramente accessibile forziere mentale di Francesco e del suo grintoso e coriaceo team dell’epoca. Provate a chiedere voi lettori!

Sempre accesissime le polemiche post mondiale 1987, dove i mostri sacri della scuola Usa quali Ken Read e Jim Brady, grandi timonieri di coppa America; Vincent Brun della North Sails San Diego, e Dave Curtis della North East coast (senza dimenticare un giovanissimo Paolo Cian, oltre al bravissimo “Pimmicio”) non riuscivano ad essere veloci come lo era l’imprendibile barca italiana, figlia del talento tecnico di Francesco, e curata giorno e notte per l’intera stagione 1986/7. Alata al Circolo Napoli per la grande rivalità con l’Irascibile, che costò il legamento del ginocchio destro a Roberto Perrone Capano, che in vespa fra il CCN ed il CRVI si apprestava a regolare de visu un presunto tardivo alaggio ai danni di Le Coq Hardì, pro Pall’ e’ Cannone!

Le Coq Hardì I-211, barca nuovissima, venne poi venduta ad un armatore del lago Maggiore, senza però le magiche vele, che se la vide carotare (bucare la vtr) come un colabrodo dagli stazzatori, che non credevano alla regolarità o dei suoi materiali di costruzione. In realtà era l’ira di Johnstone Sr., che maledisce ancora oggi il giorno in cui rilascio licenza a costruire J24 a Paolo Boido.

Bolle di sapone presto dissolte. In realtà le barche italiane, e ne avevano una niente pò di meno che Vincent Brun, plurimedagliato olimpico a stelle e strisce, un’altra Jim Brady, vice campione del mondo 1987, letteralmente seminavano quelle costruite da Johnstone nella tecnologica sala parto Usa. Anche Dave Curtis, campione in carica ed indiscusso principe dei velai del tempo, un maestro che disegnò un nuovissimo spi bomba, oltre alle vele tutte per Le Coq Hardì, con il suo scafo azzurro Napoli venuto via mare dagli Usa, sembrava un chiodo piantato nel legno rispetto alle barche italiane, e perfino color ferro anziché azzurro.

Il vero aiutino, per Le Coq Hardì, arrivò forse solo dal fato. Nella prima prova di quel magico mondiale, con 20 nodi da libeccio ed onda lunga nel cui cavo scompariva tutta la flotta dei J, Ken Read sul bordo a sinistra perse la pala del timone, priva di coppiglia sotto gli agugliotti, prima dell’incrocio chiave con Le Coq Hardì che bordeggiava -non marcato- più a terra. E Ken Read aveva l’unica barca americana con aria tesa veloce quanto o più del grande “Cocco” (soprannome affettuoso ed originale riservato alle proprie barcche dall’equipaggio di Le Coq Hardì).

Che ricordi meravigliosi, e che bel periodo per la vela napoletana, di nuovo ed a pieno titolo sul tetto del mondo nel 1987, dopo il 1975 coniato da Picchio Milone e Roberto Mottola sul Tempest Cocker sulla sponda Usa del lago Ontario.